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Perequazione urbanistica: al via le cessioni di diritti edificatori

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Perequazione urbanistica- al via le cessioni di diritti edificatori

La recente istituzione a Milano del Registro delle cessioni dei diritti edificatori porta alla ribalta la possibilità, per i cittadini, di scambiarsi volumetrie edificabili da una zona all’altra dei centri abitati, il tutto nel rispetto della legge e con contratti di diritto privato opponibili alle Amministrazioni comunali. Vediamo di che si tratta e come funziona questo nuovo “mercato”.

 

Con una delibera di giunta del maggio scorso [1] il Comune di Milano, per la prima volta in Italia, ha istituito un apposito Registro dei diritti edificatori. Si tratta di un elenco nel quale vengono riportati tutti gli atti di trasferimento fatti da privati cittadini per scambiarsi e più in genere trasferire il diritto a edificare in una determinata zona urbanistica o ad ampliare le cubature esistenti, ossia i volumi di densità edilizia previsti dai diversi piani regolatori.

 

La possibilità di costruire su un terreno è facoltà concessa al privato proprietario dell’area dalla Pubblica Amministrazione attraverso apposito provvedimento (il permesso di costruire o altro provvedimento previsto dalla legge) sulla base della destinazione prevista dallo specifico piano regolatore o altro strumento urbanistico di pianificazione territoriale.

 

Tuttavia, già un paio di anni fa, il Governo ha previsto [2] che ogni cittadino possa trasferire tutta o parte della capacità edificatoria di un terreno creando quindi un potenziale mercato dei diritti edificatori, ossia delle possibilità, previste dagli strumenti urbanistici vigenti, di costruire o aumentare la cubatura, cioè l’ampiezza volumetrica o la densità edilizia, nelle aree di proprietà dei privati.

 

Gli atti di trasferimento così astrattamente congegnati devono essere conclusi per iscritto e avere forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata così da poter essere trascritti a cura del Notaio rogante nei Pubblici Registri Immobiliari.

Finora tuttavia mancava ancora lo strumento mediante il quale rendere noto alla Pubblica Amministrazione lo scambio dei diritti edificatori eventualmente concluso tra i privati in maniera tale da monitorare costantemente, all’interno del singolo comune, l’andamento del mercato immobiliare anche sotto questo specifico profilo.

 

L’attuazione di questo registro consente di realizzare appieno la cosiddetta perequazione urbanistica, cioè una ripartizione equa dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dalla pianificazione territoriale. È noto infatti che la distribuzione dell’indice di edificabilità (un rapporto tra un volume e una superficie) nelle zone in cui viene ripartito il territorio comunale non è mai omogenea, pertanto vi possono essere delle differenze anche notevoli da un’area all’altra a causa di previsioni specifiche del piano regolatore. Così, mentre può essere interesse di un privato acquistare maggiore capacità edificatoria per ingrandire un insediamento edilizio in costruzione su un suo terreno, un altro potrebbe puntare invece a monetizzare la vendita della capacità edificatoria contenuta nel proprio suolo, ma inespressa a causa di veti del Comune, per realizzare col ricavato altri investimenti immobiliari. Il trasferimento dei diritti edificatori dal secondo al primo consente a entrambi di realizzare i propri interessi nel rispetto delle previsioni urbanistiche dell’amministrazione locale.

 

Il funzionamento del mercato dei diritti edificatori, tuttavia, è rimesso all’iniziativa delle autonomie locali che hanno il potere di decidere l’indice di fabbricabilità delle proprie aree e come distribuirlo all’interno di esse. Ogni Comune, ad esempio, può stabilire che i diritti edificatori circolino solo all’interno di un singolo comparto edilizio, assicurando perciò un’equa ripartizione dei diritti e degli oneri tra i proprietari delle singole aree incluse nel perimetro. Diversamente, si può stabilire che i diritti edificatori passino solo da una specifica area ad un’altra precisamente individuata: spesso ciò accade perché il Comune impone un vincolo sull’area “di partenza” volto alla realizzazione di opere pubbliche e tale da rendere inutilizzabili i diritti edificatori su di essa presenti invogliando quindi il privato al trasferimento di essi per poter così acquisire l’area di quest’ultimo e costruirvi le opere anzidette. Per ultimo è possibile non predeterminare a priori le aree destinate a raccogliere i diritti edificatori e lasciare perciò a ciascun privato la possibilità di diventare protagonista di transazioni nel rispetto degli indici di fabbricabilità previsti.

 

 


Locazione: quando il locatore deve restituire il deposito cauzionale al conduttore?

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locazione quando il locatore deve restituire il deposito cauzionale al conduttore

L’obbligo alla restituzione scatta solo dopo la verifica, da parte del proprietario di casa, dello stato dei luoghi e dell’adempimento, da parte del conduttore, di tutte le spese accessorie come gli oneri condominiali.

 

Anche qualora il conduttore abbia consegnato le chiavi dell’immobile e il conduttore le abbia accettate regolarmente, non scatta per il primo il diritto ad ottenere la restituzione del deposito cauzionale versato al momento della sottoscrizione del contratto di locazione.

 

Infatti, secondo la Cassazione [1], l’obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sussiste solo se il conduttore ha integralmente adempiuto le proprie obbligazioni.

 

Pertanto, il locatore può trattenere la cauzione finché non abbia verificato il buono stato dei locali e il conduttore non abbia provveduto al pagamento di tutte le spese accessorie e relative alle utenze (ossia le bollette relative al periodo di locazione, intestate al locatore, ma a carico del conduttore).

 

Ciò vale a maggior ragione se, nel contratto di locazione, sia inserita una clausola che subordina la restituzione della cauzione all’avvenuta verifica dei locali e al pagamento, da parte del conduttore, di tutte le spese accessorie e di quelle relative alle utenze

 

Dunque, la semplice richiesta dell’inquilino ad ottenere la restituzione del deposito non è sufficiente a far scattare il conseguente dovere di versamento a carico del proprietario di casa.

 

10 regole da sapere prima di costituire un fondo patrimoniale

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Valida ipoteca sul fondo patrimoniale per sanzioni amministrative

Ecco gli accorgimenti che deve conoscere e seguire chi intende costituire il fondo patrimoniale, uno degli strumenti più usati da privati e imprese per garantire i propri immobili dalle aggressioni dei creditori.

 

Il fondo patrimoniale, uno degli strumenti più utilizzati per mettere al riparo i propri beni dalle aggressioni dei creditori, può avere un’effettiva utilità solo in presenza di determinate condizioni. È fondamentale, pertanto, conoscere bene quali siano tali presupposti prima di affrontare costi notarili che potrebbero, altrimenti, rivelarsi inutili.

 

Nel rinviarvi a un precedente articolo che sintetizza tutte le questioni attinenti al fondo (leggi: Fondo patrimoniale: cos’è e come funziona. Tutto ciò che c’è da sapere), riportiamo qui dieci pratiche regole da tenere ben presente prima di prendere l’appuntamento dal notaio.

 

 

1. È necessario essere sposati.

Il fondo patrimoniale si può costituire solo tra persone legate da matrimonio. Se manca tale presupposto si dovrà ricorrere ad altri strumenti di tutela del patrimonio (ad esempio il trust). Le coppie di fatto, pertanto, non possono costituire un fondo patrimoniale.

 

La destinazione del fondo cessa con l’annullamento del matrimonio o con il divorzio. Se però ci sono figli minori, il fondo continua a esistere fino alla maggiore età dei figli.

 

2. È preferibile essere proprietari di un bene immobile.

Nel fondo patrimoniale possono essere inseriti, oltre ai beni immobili, anche titoli di credito (per esempio azioni di s.p.a.; non invece le quote di s.r.l.), beni mobili registrati (autoveicoli, imbarcazioni, aeromobili) e universalità di mobili (non denaro). Tuttavia, in genere, le spese per la costituzione di un fondo (all’incirca 1.300 euro, secondo la media praticata dai notai alla data di redazione del presente articolo) potrebbero non giustificare la protezione di beni di pari o inferiore valore, come per esempio un’auto o un motorino.

 

3. Il fondo non modifica la proprietà del bene.

La costituzione del fondo non modifica la proprietà nell’immobile, che pertanto rimane nella titolarità del precedente intestatario, ma viene amministrato da entrambi i coniugi secondo le regole della comunione. Il fondo, infatti, serve solo a dare una particolare destinazione al bene inseritovi: quella di garantire i bisogni della famiglia.

 

4. La costituzione del fondo può essere fatta dai coniugi o da un terzo soggetto.

Il fondo può essere costituito da uno o entrambi i coniugi per atto pubblico o da un terzo per testamento. Ma è solo con l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio che il fondo patrimoniale potrà essere opponibile ai creditori.

 

5. Meglio non  avere debiti sorti prima della costituzione del fondo

Il fondo protegge i beni in esso contenuti solo nei confronti di:

- creditori insorti dopo la costituzione del fondo;

- e purché essi facciano valere crediti estranei al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.

Per esempio, il fondo non potrà essere aggredito da un creditore dell’azienda di uno dei due coniugi il cui credito è nato dopo la costituzione del fondo.

 

6. Se si costituisce un fondo in presenza di debiti, il fondo può essere revocato entro massimo cinque anni.

È certamente possibile costituire un fondo patrimoniale anche in presenza di debiti. Tuttavia, i creditori potranno revocarlo (con la cosiddetta azione revocatoria) entro i primi cinque anni dalla sua costituzione. Con l’esercizio della revocatoria, il fondo non sarà più opponibile ai creditori che abbiano agito in revoca. Con la conseguenza che questi ultimi potranno pignorare e vendere gli immobili inseriti nel fondo.

 

7. L’immobile non deve essere già ipotecato.

Se l’immobile è già stato ipotecato, inserirlo nel fondo non servirà a sottrarlo al creditore ipotecario. Questo non preclude, tuttavia, la possibilità, comunque, di inserire ugualmente l’immobile nel fondo, quantomeno per sottrarlo alle aggressioni degli altri creditori.

Per esempio: se l’immobile inserito nel fondo è l’abitazione su cui c’è già l’ipoteca del mutuo, il titolare potrebbe inserire il bene nel fondo e, pagando regolarmente la banca, essere tranquillo che altri creditori non vi iscrivano ipoteca.

 

8. Il fondo non protegge da tutti i creditori.

Il fondo protegge solo dalle aggressioni dei creditori insorti per spese estranee alle esigenze della famiglia: così, per esempio, il creditore dell’azienda di uno dei due coniugi, per le tasse iscritte a ruolo, ecc.

Al contrario, i creditori di debiti contratti per esigenze della famiglia (l’istruzione dei figli, le spese di straordinaria manutenzione dell’immobile medesimo) potranno in qualsiasi momento pignorare e vendere gli immobili inseriti nel fondo.

 

9. Revoca o ampliamento del fondo

È sempre possibile fare marcia indietro e revocare il fondo. Allo stesso modo, è possibile anche, successivamente alla costituzione del fondo, inserirvi ulteriori beni con un ampliamento del fondo stesso.

 

10. Se ci sono figli minori

Sebbene non vi sia uniformità di vedute da parte di tutti i tribunali, la possibilità di chiudere il fondo patrimoniale in presenza di minori non necessita dell’autorizzazione del tribunale (sempre che così abbiano stabilito i coniugi nella convenzione, all’atto della costituzione del fondo).

 

Locazione: morosità sanabile con il termine di grazia

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Locazione- morosita sanabile con il termine di grazia

Nel corso di una procedura giudiziale di sfratto, innanzi al tribunale, il conduttore ha sempre la possibilità di interrompere l’azione nei suoi confronti, pagando il locatore in udienza o chiedendo il termine di grazia.

 

L’inquilino che non abbia pagato i canoni di locazione ha diritto di adempiere al proprio debito anche dopo che il padrone di casa gli abbia intentato l’azione giudiziale (cosiddetta intimazione di sfratto per morosità). Egli infatti può sempre versare i canoni scaduti (e quelli correnti) anche in udienza, senza che il locatore possa opporsi.

 

All’udienza fissata per la convalida infatti, l’inquilino può chiedere al giudice il cosiddetto “termine di grazia”. La legge [1], infatti, stabilisce che la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni di locazione può essere sanata davanti al giudice, per non più di tre volte nel corso di un quadriennio, se il conduttore, alla prima udienza, versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice.

 

Se tale pagamento non avviene in udienza, il giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l’udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato.

 

 

Va da sé che, successivamente, il conduttore deve provvedere (nel termine indicato dal Giudice) – senza che il locatore si possa opporre – al pagamento di canoni, spese accessorie, relativi interessi e spese legali liquidate.

 

Tale previsione del termine di grazia non opera invece per le locazioni ad uso diverso dall’abitativo [2].

 

Niente IMU su lastrici solari e fabbricati collabenti

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Impianti fotovoltaici- si puo detrarre Irpef al 50

L’imposta non è dovuta per tutti gli immobili che rientrano nelle categorie fittizie.

 

Non si paga l’Imu né sui lastrici solari, né sui fabbricati collabenti. A precisarlo è stato il ministero dell’Economia [1].

L’imposta non è dovuta neanche se il lastrico solare è edificabile e su di esso viene costruito un impianto fotovoltaico.

 

È noto che molti imprenditori realizzano impianti fotovoltaici acquisendo il diritto di superficie su alcuni lastrici solari di vari edifici. Si era quindi posto il dubbio che tale superficie potesse essere considerata area edificabile soggetta ad Imu. Il ministero, però, ha chiarito la questione dando risposta negativa.

 

In base all’attuale legge, infatti, un’area si considera edificabile solo quando sulla stessa non sia individuata alcuna unità immobiliare. Invece il lastrico solare rientra nelle cosiddette “categorie fittizie”: ossia in quelle categorie di immobili iscritte in catasto senza attribuzioni di rendita catastale, ma con descrizione dei caratteri specifici o destinazione d’uso. Tali fabbricati (tra cui rientrano anche i fabbricati in corso di costruzione e di definizione e le unità collabenti) sono censiti dal sistema catastale, ma non hanno una attribuzione di rendita.

 

Il lastrico solare non paga quindi l’Imu per tutta la durata della costruzione dell’impianto fotovoltaico, dopodiché scatta l’accatastamento dell’impianto medesimo.

 

Ciò vale anche per i fabbricati collabenti. Alcuni Comuni italiani, tuttavia, richiedono l’Imu anche su tali tipi di costruzioni, ma ciò – specifica il ministero – è illegittimo.

 

Scritte sui muri e piccole riparazioni: l’amministratore agisce senza assemblea

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graffiti

L’amministratore ha il potere ma anche il dovere di provvedere, senza bisogno dell’autorizzazione dell’assemblea, alla rimozione dei graffiti che deturpino la facciata dell’edificio e a intervenire sulle piccole riparazioni.

 

Gli atti vandalici, come le scritte sui muri, potrebbero pregiudicare il decoro della facciata di un palazzo. Dall’altro lato, i tempi affinché l’assemblea di condominio autorizzi l’amministratore a procedere alla pulizia dei muri potrebbero, a volte, allungarsi notevolmente. In questi casi, l’amministratore potrebbe agire di propria spontanea iniziativa, al fine di salvaguardare l’estetica dell’edificio.

 

In generale, l’amministratore di condominio ha una serie di poteri che gli consentono di agire anche senza autorizzazione dell’assemblea. In tale cornice, egli certamente deve pagare le spese per la manutenzione ordinaria delle parti comuni e per l’esercizio dei servizi comuni. Egli, inoltre, deve anche ordinare lavori di manutenzione straordinaria quando rivestano carattere urgente (ossia in caso di pericolo talmente imminente da sconsigliare l’attesa dei tempi necessari per la convocazione di un’assemblea), ma ne deve riferire comunque all’assemblea alla prima riunione utile.

 

È vero che l’amministratore è pur sempre un mero esecutore materiale delle delibere assembleari [1]. Tuttavia, la giurisprudenza gli ha riconosciuto, via via, un’ampia legittimazione sugli “atti conservativi” delle parti comuni.

 

Alla luce di ciò, egli ha certamente il potere, ma anche il dovere, di intervenire per le piccole riparazioni, anche non urgenti, che comportino una spesa di modesta entità. Così, per esempio, potrebbe incaricare una ditta di pulizie per togliere le scritte vandaliche dalla facciata del palazzo. Se non provvede, egli potrebbe essere additato di inadempimento ai propri obblighi del mandato.

 

Qualora, poi, l’amministratore abbia gestito male l’affare, addossando al condominio spese inutili o eccessive, egli sarà responsabile dei danni.

 

Bonus prima casa anche se i requisiti li ha il coniuge che non ha firmato la vendita

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Beneficio prima casa anche senza il trasferimento della residenza

Errata l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate: è indifferente se chi ha i requisiti richiesti dalla legge non ha firmato l’atto di compravendita dell’immobile quando tra i coniugi vi sia la comunione legale.

 

Per ottenere l’agevolazione “prima casa”, non è necessario che i requisiti richiesti dalla legge li abbia colui che ha firmato l’atto notarile di acquisto dell’immobile; infatti li può avere anche l’altro coniuge, che non è figurato nella compravendita, purché tra i due viga il regime della comunione legale.

 

A dirlo è la Commissione Tributaria Regionale di Roma, con una recente sentenza [1].

 

Via libera dunque al bonus prima casa anche se solo uno dei coniugi, purché in comunione legale, possiede i requisiti legali ed anche se quest’ultimo non sia contraente nell’atto di compravendita dell’immobile. Ciò che conta, ai fini fiscali, è essere titolare dell’immobile, a prescindere da come ciò avvenga (se attraverso il notaio o, automaticamente, con la comunione legale): e, nel caso di comunione dei coniugi, la titolarità scatta anche se non si è firmato l’atto di acquisto del bene.

 

Infatti, lo scopo della legge è di dare alla famiglia una residenza adeguata. Pertanto, è errata la diversa interpretazione che offre l’Agenza delle Entrate con una circolare [2] secondo cui, quando l’altro coniuge non ha i requisiti di legge, al contribuente spetterebbe solo il 50% del regime agevolato.

 

Al contrario, il beneficio fiscale deve poter avvantaggiare chi acquista l’immobile e non solo chi stipula formalmente l’atto dal notaio. Del resto, la caratteristica della comunione legale è anche quella di fare in modo che gli effetti giuridici del regime che lega marito e moglie si riflettano anche sugli effetti fiscali.

5 regole d’oro per affittare casa senza problemi

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Locazione- immobile danneggiato, conduttore obbligato ai canoni anche dopo la scadenza del contratto

Ecco le semplici regole da seguire quando si affitta casa per evitare imprevisti sia per il proprietario che per l’affittuario.

 

Affittare casa, specie se si fa senza l’assistenza di un legale e con un contratto scaricato da internet, può essere assai insidioso. Ecco dunque cinque regole d’oro da tenere bene a mente per evitare alcuni dei principali problemi.

 

1. Il contratto di locazione a uso abitativo, per essere valido, deve essere obbligatoriamente redatto in forma scritta [1].

 

2. Entro 30 giorni dalla stipula è obbligatorio procedere alla registrazione del contratto. A tale adempimento può provvedere sia il locatore (proprietario) che il conduttore (affittuario).       

 

3. Bisogna indicare nel contratto il canone effettivo corrisposto dal conduttore e rifiutare proposte di versamenti extra di cui potrebbe poi essere richiesta la restituzione.

La legge infatti stabilisce la nullità di ogni accordo diretto a pretendere un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato [2].

Comunque, nel caso di versamento del canone in misura superiore rispetto a quella realmente dovuta, entro 6 mesi dalla riconsegna dell’immobile il conduttore può rivolgersi al Tribunale per richiedere la restituzione delle somme pagate in eccedenza (sono inoltre nulli i patti volti a derogare ai limiti di durata del contratto previsti dalla legge).

 

4. È sempre bene pretendere il versamento del deposito cauzionale per tutelarsi da eventuali danni che potrebbero essere causati all’immobile dal conduttore o da altre sue inadempienze.

Il deposito ha la funzione di garantire il corretto adempimento da parte del conduttore dei propri doveri che consistono nel regolare pagamento del canone e nell’utilizzare con diligenza l’immobile affittato.

Al termine della locazione, il locatore deve restituire la cauzione ricevuta maggiorata degli interessi, a meno che non la trattenga, anche in parte, per sopperire a eventuali inadempimenti del conduttore o a eventuali danni provocati all’unità immobiliare.

 

5. Se l’appartamento viene affittato già ammobiliato è bene far sottoscrivere al conduttore l’elenco dettagliato dei mobili consegnati (il cosiddetto inventario).

Sarebbe anche opportuno intestare i contratti di tutte le utenze domestiche direttamente all’affittuario.

 


Nasce l’anagrafe condominiale: i registri con i condomini

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Nasce anagrafe condominiale- i registri con i condomini

Istituiti nuovi registri: il registro di anagrafe condominiale, il registro di contabilità, quello delle nomine e revoche dell’amministratore; obbligo del conto corrente condominiale.

 

Lo scorso 18 giugno è entrata in vigore la riforma del condominio [1]. La riforma fa scattare l’obbligo di istituire registri obbligatori. Con il registro di anagrafe condominiale verranno acquisiti tutti i dati riferiti alle singole unità immobiliari. In essi andranno indicati i nomi dei proprietari o degli usufrutturali ed anche i titolari di diritti personali di godimento (comodatari e conduttori). È quindi obbligatoria la collaborazione dei condomini che non potranno più astenersi dal fornire tali indicazioni. Le loro dichiarazioni, sottoscritte in originale, dovranno essere conservate e inserite nel registro. In assenza, l’amministratore sarà autorizzato a effettuare indagini presso i pubblici uffici addebitando il relativo costo al condomino inadempiente.

 

In questo modo si vuole anche evitare la figura del condomino apparente, di colui, cioè, che si comporta quale proprietario pur senza esserlo. Si tratta di soggetti che sono soliti partecipare alle riunioni di condominio e ricevere le convocazioni, ma che hanno intestato l’immobile a un parente (a volte anziano); pertanto, in caso di decreto ingiuntivo per il pagamento delle spese condominiali, costoro eccepiscono spesso la loro estraneità al condominio.

 

Queste informazioni sui dati dei proprietari e dei conduttori, oltre che raccolte, dovranno anche essere periodicamente aggiornate.

 

È stato istituito anche il registro di contabilità che prevede l’annotazione di tutte le movimentazioni entro 30 giorni dall’effettuazione.

In altro registro andranno annotate le nomine e le revoche dell’amministratore.

 

Ogni condominio dovrà essere dotato di un conto corrente sul quale transitato le somme in entrata e uscita. Sparisce totalmente la cassa: infatti l’amministratore, pur potendo ancora ricevere il pagamento delle spese condominiali presso il proprio ufficio (e non solo con accredito in conto corrente), non potrà utilizzare i contanti per effettuare pagamenti, dovendo obbligatoriamente depositare in banca quanto ricevuto.

 

L’amministratore che non apra o non utilizzi il conto corrente condominiale può essere revocato. Inoltre, ciascun condomino, in ogni tempo, potrà richiedere copia dell’estratto conto.

 

Anche i documenti giustificativi di spesa possono essere visionati in ogni momento sia dai condomini che dai comodatari e dai conduttori.

 

Locazione: come far valere la fideiussione in caso di danni all’appartamento

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Locazione- come far valere la fideiussione in caso di danni all appartamento

Insieme al contratto di locazione, capita sempre più spesso che il proprietario di casa chieda una fideiussione a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni. Ecco come funziona.

 

Capita spesso che il locatore, dando in affitto l’appartamento, richieda al conduttore, a garanzia di eventuali morosità e risarcimento danni all’immobile, il rilascio di una fideiussione. La fideiussione può essere rilasciata da un terzo soggetto (spesso si tratta di un parente del conduttore) o da una banca.

Nell’ipotesi in cui, al momento del rilascio dell’appartamento, vengano verificati danni per causa del conduttore, si pone la necessità, per il padrone di casa, di azionare la fideiussione. Come agire in questi casi?

 

Bisogna innanzitutto verificare che la fideiussione preveda anche la garanzia per il risarcimento dei danni. Accertato ciò, il locatore – riscontrata la sussistenza dei danni – deve inviare una raccomandata con avviso di ricevimento al fideiussore, chiedendo il risarcimento (è comunque opportuna una raccomandata anche al conduttore).

 

Il fideiussore è obbligato insieme (in solido) con il debitore principale al pagamento del debito [1]. Ove il fideiussore non provveda al pagamento spontaneamente, è possibile agire giudizialmente contro quest’ultimo.

 

Solo se nel contratto è inserita una clausola di preventiva escussione del debitore, è necessario rivolgersi prima al conduttore e poi al fideiussore. In tal caso, il fideiussore, che sia chiamato in causa dal padrone di casa e intenda valersi del beneficio della previa escussione del debitore principale (il conduttore), deve indicare al locatore i beni del debitore da sottoporre ad esecuzione.

 

Distanze tra edifici, costruzioni e sopraelevazioni

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Anche le pertinenze devono rispettare le distanze minime tra edifici

Tutte le regole in materia di distanza minima tra edifici, costruzioni e sopraelevazioni, pareti finestrate, balconi e logge: nessuna possibilità di sanatoria.

 

Il codice civile detta le regole in materia di distanza tra costruzioni vicine. Analizziamo tutti i casi, per come interpretati anche dalla Cassazione.

 

Distanza minima

Le costruzioni su fondi finitimi devono essere tenute a distanza non minore di tre metri, a meno che non siano realizzate in unione, cioè strutturalmente collegate, oppure in aderenza l’una all’altra. In questo caso è necessario che la nuova opera e quella preesistente combacino perfettamente da uno dei lati, in modo che non rimanga tra i due muri, nemmeno per un breve tratto o ad intervalli, una intercapedine, che lasci scoperte anche solo parzialmente le relative facciate [2].

 

Cosa si intende per “costruzione”?

È importante definire cosa si intende per “costruzione”, poiché i corpi che rientrano in tale nozione sono soggetti alle norme appena viste sulle distanze minime.

 

Col termine “costruzione” la Cassazione intende qualsiasi opera non completamente interrata e che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche se realizzata mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad una costruzione preesistente; e ciò indipendentemente dalla destinazione della struttura (come nel caso di elementi accessori e pertinenze, quali le autorimesse, che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile) [3].

 

È stata ritenuta una “costruzione” anche il manufatto che, sebbene privo di pareti, come nel caso delle tettoie, determini un incremento del volume, della superficie e della funzionalità dell’immobile [4].

 

Rientrano nella nozione di “costruzione” anche tutte quelle parti dell’edificio, quali scale, terrazze e corpi avanzati (cosiddetti aggettanti) che, pur non essendo volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato, salvo siano di ridotte dimensioni o abbiano un carattere meramente decorativo.

 

Non sono dunque computabili ai fini delle distanze, solo gli elementi che hanno una funzione ornamentale, di rifinitura od accessoria, come le mensole, le lesene, i cornicioni o le grondaie [5].

 

La sopraelevazione

Le distanze vanno rispettate anche nel caso di sopraelevazione. Con questo concetto si intende qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato [6], quando sviluppi effettivamente una nuova cubatura.

 

Anche la modifica del tetto di un fabbricato integra una sopraelevazione, ma viene considerata “costruzione” solo se produce aumento della superficie esterna e della volumetria dei piani sottostanti [7].

 

Non sono soggette alle regole sulle distanze le costruzioni realizzate a confine con le piazze e le vie pubbliche, anche di proprietà privata gravate da servitù pubbliche di passaggio [8].

 

Regolamenti edilizi

In deroga a quanto previsto dal codice civile, i regolamenti edilizi locali possono fissare distanze superiori, purché nel rispetto della disciplina urbanistico-edilizia nazionale e regionale.

 

Solo per i centri storici (le zone A), in caso di ristrutturazione vi è l’obbligo di mantenere le distanze intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, mentre nelle altre zone omogenee per gli edifici di nuova costruzione è prescritta in ogni caso una distanza minima di dieci metri tra le pareti finestrate e quelle degli edifici antistanti.

In presenza di strade, le distanze minime corrisponderanno alla larghezza della sede stradale maggiorata, per ciascun lato, ad una misura variabile dai 5 ai 10 metri, a seconda dell’ampiezza della strada. Di conseguenza, in questo caso, la distanza minima potrà andare dai 17 ai 35 metri.

 

La norma ammette distanze inferiori, ma solo nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate, con esclusione degli interventi diretti, realizzati sulla base di un singolo permesso di costruire.

 

Distanza tra pareti finestrate

Tra pareti finestrate di edifici antistanti vi deve essere una distanza di 10 metri: essa va calcolata

con riferimento a ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano

e con riguardo a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo

anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela [9].

Tale distanza minima di dieci metri tra i fabbricati vale anche nel caso in cui solo una delle pareti antistanti risulti finestrata e non entrambe.

 

Balconi e logge

La distanza dei dieci metri tra pareti finestrate non si applica ai balconi e logge (essi, quindi, non devono essere tenuti presenti ai fini del calcolo della distanza). Ciò perché scopo della distanza minima è la tutela della riservatezza delle abitazioni situate in fabbricati che si fronteggiano [10].

 

Nessuna sanatoria per le violazioni

Le norme sulle distanze legali nelle costruzioni sono state scritte a tutela dell’interesse generale; pertanto non sono possibili né deroghe con accordi tra privati, né sanatorie con il rilascio di concessioni edilizie [11].

 

Valida l’assemblea convocata dall’amministratore che non ha accettato l’incarico

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Convocazione dell'assemblea di condominio- assenza di forme

L’accettazione dell’incarico da parte dell’amministratore è un elemento eventuale e non necessario al potere di quest’ultimo di convocare l’assemblea.

 

Non è necessario che l’amministratore accetti formalmente l’incarico conferitogli dal condominio affinché possa compiere gli atti propri del suo ufficio, compresa la convocazione dell’assemblea condominiale. A stabilire questo importante principio è stata una recente ordinanza della Cassazione [1].

 

La Suprema Corte, nel caso di specie, ha rigettato la richiesta di una donna che aveva contestato la validità di una delibera assembleare essendo stato, il collegio, convocato dall’amministratore che non aveva ancora accettato l’incarico conferitogli dai condomini.

 

Secondo i giudici della Cassazione, infatti, il mandato in materia di condominio non ha una natura contrattuale e quindi non richiede un’ accettazione del mandatario (l’amministratore). Al contrario, si tratta di una investitura assembleare, che opera automaticamente.

 

Del resto – argomenta la Corte – se è vero che, in caso di nomina dell’amministratore dichiarata illegittima quest’ultimo ha comunque il potere di convocare l’assemblea (cosiddetto principio della “prorogatio imperii”), a maggior ragione deve essere consentito tale potere all’amministratore alla cui nomina non è seguita immediatamente la sua accettazione.

 

Il riferimento al mandato in materia condominiale non comporta, quindi, l’applicabilità della norma che fa discendere solo dall’accettazione del mandatario l’operatività della nomina.

L’accettazione dell’incarico da parte dell’amministratore è infatti un elemento eventuale e non necessario al perfezionamento del rapporto con il condominio.

 

 

Le spese di impermeabilizzazione dello stabile riguardano tutti i condomini

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Le spese di impermeabilizzazione dello stabile riguardano tutti i condomini

Condominio: le spese di impermeabilizzazione vanno ripartite tra tutti i condomini, anche se le infiltrazioni riguardano un solo appartamento.

 

Le riparazioni delle spese per le opere di impermeabilizzazione dell’edificio si dividono tra tutti i condomini in base ai millesimi di proprietà. E ciò vale sia che l’impermeabilizzazione riguardi i muri perimetrali dell’immobile, il tetto, o le intercapedini. Lo ha ricordato recentemente la Cassazione [1]. Non avrebbe senso, infatti, lasciare queste opere a carico dei proprietari delle unità immobiliari che, per la loro dislocazione nell’edificio condominiale, siano più esposti alle infiltrazioni di umidità. Infatti, del beneficio ne gode, alla fine, tutto lo stabile e, quindi, tutti i condomini.

 

Infiltrazioni all’interno di un solo appartamento

Allo stesso modo deve essere ripartita sempre per millesimi la spesa per le opere di impermeabilizzazione necessarie per garantire la fruibilità dell’appartamento in cui si è manifestato un fenomeno di infiltrazioni di acqua.

Acquistare e vendere casa: le regole e i passaggi con i vari contratti

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Affitto con riscatto- soluzione a meta tra acquisto casa e affitto

La proposta irrevocabile di acquisto e di vendita prima del compromesso, il contratto preliminare e quello definitivo, i controlli sull’appartamento: ecco tutto ciò che c’è da sapere prima di procedere a una vendita o un acquisto immobiliare.

 

 

Ecco alcune regole che è bene conoscere se si intende comprare casa. L’acquisto di un immobile, infatti, è un momento assai importante nella vita economica di un risparmiatore, per il quale spesso si lavora una vita intera. 

 

La proposta irrevocabile
Gran parte delle vendite viene ormai mediata dalle agenzie immobiliari. Pertanto, il primo modulo con il quale ci si imbatte è la cosiddetta “proposta irrevocabile” (di vendita o di acquisto). Si tratta di un documento nel quale un soggetto dichiara di voler vendere o acquistare un bene a determinate condizioni (economiche, temporali, eccetera) indicate in tale atto.

Qualora la proposta venga accettata dall’altra parte (venditore o acquirente), il contratto si conclude definitivamente ed alle condizioni indicate nella proposta stessa. Le parti, quindi, non possono esprimere pretese ulteriori rispetto quelle inserite nel documento accettato (salvo ovviamente che vi sia l’accordo di entrambe per la modifica o l’integrazione).

 

La proposta irrevocabile può essere revocata dal soggetto che l’ha firmata fino a quando essa non venga accettata dall’altra parte. Tale potere di revoca, però, non è possibile se nella proposta vi è l’impegno alla irrevocabilità (per un dato periodo di tempo): in tal caso, il proponente non ha più la facoltà di revoca.

 

La legge non impone l’obbligo di firmare una proposta irrevocabile per procedere alla compravendita di un immobile. Pertanto le parti potrebbero anche farne a meno.
Il compromesso
Il passo successivo alla (eventuale) “proposta irrevocabile” è la firma del cosiddetto “compromesso” (in realtà, il termine giuridico corretto è “contratto preliminare”).

 

Con tale contratto, l’attuale proprietario e il futuro acquirente dell’immobile si obbligano a stipulare, entro una certa data e a determinate condizioni, l’atto definitivo dal notaio (comunemente detto “rogito”). Le condizioni sono, in genere, le stesse indicate nella proposta irrevocabile, se la si è firmata.

Con il preliminare, le parti si impegnano – per il futuro – alla vendita/acquisto, in modo da tenere “fermo” l’affare e, nello stesso tempo, concedersi un termine di tempo per organizzarsi materialmente (ad es.: l’acquirente per trovare la somma, il venditore per cercare una nuova sistemazione abitativa).

 

Le condizioni contenute nel contratto preliminare vengono fedelmente riportate nell’atto definitivo che è anche più completo e contiene tutti gli elementi dell’immobile richiesti dalla legge.
Nel compromesso è indispensabile individuare con esattezza il bene che si intende compravendere, il prezzo pattuito, i tempi per versare le rate dei pagamenti, la data entro cui il rogito deve essere stipulato.

Inoltre, occorre indicare le garanzie che il venditore concede: di solito, la garanzia di libertà da ipoteche e altri vincoli, la garanzia di regolarità catastale e urbanistica, la garanzia che l’appartamento è libero da persone e cose, eccetera.

 

Il rogito

Dopo la firma del compromesso, le parti devono firmare l’atto di compravendita vero e proprio che sostituisce tutti gli altri precedenti accordi e li contiene. Esso è il cosiddetto contratto definitivo (volgarmente detto “rogito” perché viene effettuato dal notaio). Si tratta dell’atto finale: l’ufficializzazione dei patti di compravendita contenuti nel compromesso e nell’eventuale proposta irrevocabile.
I controlli

Prima di firmare un compromesso occorre effettuare una nutrita serie di controlli per accertarsi che tutto sia in regola.

 

1) In primo luogo è necessario accertarsi sullo stato di fatto dell’appartamento (per es. manutenzione, controllo degli impianti, ecc.). Si tratta di un controllo estremamente importante perché da esso dipende la possibilità di far valere, in futuro, eventuali vizi dell’immobile. La legge, infatti, stabilisce che i difetti di costruzione dell’abitazione non possano essere più contestati dall’acquirente se erano conoscibili all’atto della vendita.

È buona regola che il controllo delle condizioni dell’immobile sia svolto personalmente dal potenziale acquirente, eventualmente con l’ausilio di un tecnico di fiducia.

 

2) Il secondo tipo di controllo da effettuare è una verifica documentale (a molte delle quali peraltro provvede anche il notaio che sia incaricato della stipula del compromesso o del rogito).

a) Si tratta innanzitutto di controlli inerenti la persona del venditore (ad esempio, si deve verificare se per caso non si tratti di un fallito, di un minorenne, di un interdetto, eccetera) e il suo stato coniugale. Il fatto, per esempio, che si tratti di un soggetto non sposato oppure coniugato con un certo regime patrimoniale (come la comunione legale, la separazione dei beni o il fondo patrimoniale), comporta infatti notevoli differenze.

 

b) Inoltre occorre provvedere ai controlli dei documenti che riguardano il bene compravenduto: il rogito o la successione ereditaria “di provenienza”, i dati catastali, il regolamento di condominio con le tabelle millesimali, le licenze di costruzione, il certificato di abitabilità, l’eventuale presentazione di istanze di condono edilizio.

 

È importante leggere attentamente il titolo di provenienza dell’immobile, ossia il contratto con cui il venditore è divenuto titolare del bene che sta per alienare.

Se l’acquisto del venditore è avvenuto per successione ereditaria, occorre risalire al rogito con cui fu effettuato l’acquisto dal soggetto poi defunto e che ha lasciato quale erede il venditore.

È importante leggere il titolo di provenienza perché esso descrive esattamente ciò di cui il venditore ora dispone: ossia la consistenza del bene oggetto di vendita, le sue pertinenze, i vincoli che su di esso gravino, i costi che esso comporta (come quelli condominiali).

A voler essere particolarmente attenti, bisognerebbe anche risalire ai titoli precedenti dei precedenti proprietari, negli ultimi 20 anni.

 

Un altro momento delicato è quello della verifica di eventuali ipoteche gravanti sull’immobile: un compito che, generalmente, viene delegato al notaio all’atto del rogito. Tuttavia è sempre bene accertarsi di eventuali pesi gravanti sull’immobile già alla firma del preliminare, prima quindi di versare eventuali acconti.

Per accertarsi dell’esistenza di ipoteche bisogna compiere un’ispezione nei Registri immobiliari, che non deve limitarsi solo al venditore, ma deve anche spaziare su tutti i soggetti che siano stati titolari del bene in questione negli ultimi 20 anni.

Per evitare rischi, si potrebbe chiedere al venditore una fideiussione bancaria, sebbene sia costosa. In alternativa, si può chiedere di trascrivere nei pubblici registri il contratto preliminare che, in tal caso, dovrà però essere redatto dal notaio e scontare l’imposta di registro.

 

c) Non in ultimo è importante accertarsi, attraverso l’amministratore di condominio, se il venditore sia in regola con il pagamento degli oneri condominiali poiché, in caso di morosità, degli arretrati risponderà anche l’acquirente (ma solo per quelli dell’anno in corso e di quello precedente).
La caparra

Alla firma del compromesso è bene prestare attenzione alla qualifica delle somme versate al venditore. Infatti, se si versa una caparra confirmatoria, chi riceve la caparra, in caso di inadempienza rispetto agli obblighi assunti nel contratto preliminare, deve restituire alla controparte (che intende sciogliersi dal contratto) il doppio della caparra ricevuta. Se invece è inadempiente chi ha versato la caparra, la controparte può recedere dal contratto e tenersi quanto ha già ricevuto.

 

L’attestato di prestazione energetica

Dal 2013, tutte le vendite devono contenere, in allegato, l’Attestato di Prestazione Energetica (Ape), oppure il “vecchio” Ace. Se ciò non avviene, la vendita è nulla.

 

L’Ape è un documento redatto da un esperto qualificato che attesta la prestazione energetica di un edificio attraverso specifici descrittori e che fornisce raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza energetica dell’edificio stesso.

 

La regolarità catastale

La compravendita è nulla se non contiene una corretta intestazione catastale dell’immobile o se la raffigurazione planimetrica catastale sia difforme dallo stato di fatto del bene oggetto di alienazione.

In questo modo, il contribuente è incentivato a tenere il Catasto aggiornato e a consentire allo Stato una corretta applicazione dei tributi, che si assolvono avendo, appunto, come base di calcolo, la rendita catastale.

 

Agevolazione “prima casa”: condizioni e funzionamento

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Agevolazioni prima casa- si anche se stimata abitazione di lusso

Chi vende la casa acquistata con il bonus non può rivenderla nei primi cinque anni dall’acquisto, salvo che la nuova casa non sia adibita ad abitazione principale.

 

Condizioni

L’agevolazione “prima casa” spetta alle seguenti condizioni:

a) se si tratta dell’acquisto di una casa d’abitazione “non di lusso“;

b) se l’immobile è ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisce, entro 18 mesi dall’acquisto, la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività;

c) se, nell’atto di acquisto, l’acquirente dichiara di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui è situato l’immobile da acquistare;

d) se nell’atto di acquisto l’acquirente dichiara di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale, su tutto il territorio nazionale, dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni “prima casa”.

 

Se invece l’acquirente:

1) è stato trasferito all’estero per ragioni di lavoro, l’acquisto è agevolato se la casa è situata nel Comune in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende;

2) è cittadino italiano ma emigrato all’estero occorre che l’immobile sia acquisito come prima casa sul territorio italiano.

 

Chi usufruisce dell’agevolazioni “prima casa” è obbligato a non vendere tale casa per cinque anni. Infatti, la vendita effettuata prima del decorso di cinque anni dall’acquisto provocherebbe la revoca della tassazione agevolata, l’applicazione della tassazione ordinaria e di una sanzione pari al 30% della differenza tra tassazione ordinaria e tassazione agevolata, oltre agli interessi. Tali conseguenze, però, non scattano se il venditore che ha usufruito del beneficio, entro un anno dalla vendita, procede all’acquisto di una nuova abitazione principale.

 

La vendita prima del decorso di un quinquennio dall’acquisto provoca peraltro, in capo al venditore, la tassazione della plusvalenza, e cioè della differenza tra il prezzo di acquisto (aumento dei costi sostenuti) e il prezzo di vendita (e ciò a prescindere dal fatto che l’acquisto sia stato effettuato, o meno, con l’agevolazione prima casa): tale tassazione avviene, di regola, applicando l’aliquota del 20% a questa differenza.

La tassazione della plusvalenza invece non si effettua se la casa oggetto di vendita intra-quinquennale sia stata abitata dal venditore per la maggior parte del periodo intercorso tra la data di acquisto e la data di vendita.

 

 

F.A.Q.

 

Quanto non opera lo sconto fiscale

Ho l’intera e piena proprietà di una casa a Roma (ove attualmente risiedo), che ho acquistato tre anni fa. Sono stato trasferito a Milano per lavoro. Senza vendere la casa di Roma, posso comprare una nuova casa a Milano e avvalermi dell’agevolazione “prima casa”?

 

La proprietà di un’abitazione ostacola l’acquisto di una nuova abitazione solo in due ipotesi:

a) nel caso in cui l’abitazione di proprietà sia ubicata nel medesimo Comune nel quale si effettua il nuovo acquisto;

b) nel caso in cui l’abitazione di proprietà sia stata acquistata con l’agevolazione “prima casa”.

 

 

Il trasferimento per motivi di lavoro

Nel caso di acquisto a Milano, con lo sconto prima casa, devo trasferire la residenza prima del rogito o anche dopo?

 

Per approfittare dell’agevolazione “prima casa” occorre risiedere nel territorio del Comune nel quale è ubicata la casa oggetto di acquisto agevolato (non occorre risiedere nella casa che si compra, né andarvi a risiedere dopo il rogito; è sufficiente essere residenti, all’atto del rogito, nel medesimo territorio comunale dove è situata la casa che si acquista).

Una soluzione alternativa al trasferimento della residenza è data a chi svolge la propria attività lavorativa nel Comune ove è situata la casa oggetto di acquisto agevolato: e così, se risiedo a Roma ma lavoro a Milano, possono tranquillamente comprare la “prima casa” a Milano senza dovervi trasferire la residenza.

Per “attività lavorativa” si intende, oltre a quella strettamente professionale, anche l’attività dello studente, l’attività del soggetto che svolga opera di volontariato e l’attività svolta dallo sportivo.

 


Separazione e destinazione della casa coniugale utilizzata dalla ex nuora

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Assegnazione casa coniugale e reddito

La nuora che abbia utilizzato la casa dei suoceri come residenza coniugale è tenuta a restituirla in caso di rottura del matrimonio

 

Nel caso in cui la abitazione dei suoceri venga concessa in comodato al figlio e alla nuora per essere utilizzata come casa coniugale, dovrà essere restituita dalla nuora qualora venga meno il matrimonio.

 

È quanto ha affermato la Cassazione in una recente pronuncia [1] in cui ha stabilito che i proprietari dell’immobile hanno il diritto di ottenere la restituzione dell’appartamento di proprietà nel momento in cui il rapporto matrimoniale del figlio si sia concluso. Nel caso in cui la nuora si rifiuti di restituirlo, il suo comportamento sarà configurabile come una forma di occupazione  abusiva.

 

Nella vicenda in esame, la Corte ha anche condannato la donna al risarcimento dei danni agli ex suoceri per aver restituito in ritardo l’immobile, escludendo che da detto importo andassero detratte le spese sostenute dalla nuora per apportare miglioramenti da quest’ultima effettuate all’abitazione.

 

Infatti le migliorie, che il comodatario decide di realizzare sull’immobile chiesto in restituzione dai proprietari sono oggetto di una  libera scelta fatta nel proprio esclusivo interesse: pertanto chi le fa non ha il diritto di pretendere la restituzione di quanto versato per apportarle.

 

Condizionatore rumoroso: scatta il reato di disturbo della quiete delle persone

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Rumori molesti in condominio- la Cassazione intervieneRumori molesti in condominio- la Cassazione intervieneRumori molesti in condominio- la Cassazione interviene

Anche se a lamentarsi è un solo nucleo familiare, il procedimento penale è inevitabile per chi installa il condizionatore che provoca disturbo alla quiete.

 

È condannabile penalmente per disturbo alla quiete delle persone nelle loro abitazioni chi installa condizionatori rumorosi in casa sua o nel luogo dove svolge la sua attività, anche se dei rumori si lamenti solo uno dei nuclei familiari residenti nel condominio.

 

A dirlo è la Cassazione in una recente sentenza [1] che ha così condannato il gestore di un centro commerciale i cui condizionatori erano tanto rumorosi da sentirsi sino al quarto piano – anche a finestre chiuse – del condominio soprastante i locali.

 

La Suprema Corte ha precisato che il reato scatta quando il disturbo generato dai rumori incide sulla tranquillità pubblica e quindi sia anche solo potenzialmente idoneo a essere risentito da un numero indeterminato di persone, anche se poi, concretamente, se ne lamenta solo una persona.
Il problema della rumorosità dei condizionatori è molto frequente in condominio. Nel caso di rumorosità di un impianto che superi la normale tollerabilità, l’amministratore del condominio deve intervenire in modo da assicurarne il miglior godimento a ciascuno dei condomini [2]. Ad agire in tribunale, tuttavia, può essere solo il proprietario leso dal rumore.

 

Locazioni: la denuncia dei vizi non ha un termine di decadenza

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Sfratto- che succede se il conduttore non paga il canone di locazione

L’affittuario che riceve in locazione una abitazione, dopo averla visitata e avere riscontrato che essa è conforme alle proprie necessità, dopo quanti giorni dalla presa in possesso dell’immobile ha ancora la possibilità di evidenziarne vizi e difetti?

 

In generale, l’esistenza di vizi che diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità della casa locata all’uso stabilito ha come conseguenza la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo.

 

Non c’è un termine di decadenza per la denuncia dei vizi dell’immobile (al contrario di quanto è previsto per gli atti di vendita).

 

L’inquilino tuttavia non può far valere, nei confronti del locatore, i vizi dell’immobile che gli erano conosciuti o conoscibili al momento della consegna della casa [1].

Se dunque il conduttore ha ritenuto la cosa locata conforme alle sue esigenze non può poi recriminare vizi dell’immobile, salvo che il proprietario ha taciuto in mala fede i vizi stessi o se questi ultimi rendono impossibile il godimento della cosa.

 

Secondo la giurisprudenza, il conduttore non può recedere dalla locazione, anche se il proprietario non si adopera per risolvere la situazione, se la causa del recesso (per esempio, infiltrazioni d’acqua) si è verificata all’inizio del rapporto, ma nel frattempo l’inquilino ha tenuto un comportamento (ad esempio, uso prolungato nel tempo dell’immobile) che nei fatti ha reso tollerabile la situazione [2].

Balconi e terrazze: costi a carico dei singoli condomini

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Balconi e terrazze- costi a carico dei singoli condomini

Nel caso di lavori straordinari alla facciata di un edificio, come va fatta la ripartizione della spesa?

 

I balconi e i terrazzini sono di proprietà dei singoli condomini, salvo per i cosiddetti frontalini o i decori che, poiché fanno parte integrante della facciata, sono da considerare parti comuni.

 

I balconi aggettanti, poiché sono un “prolungamento” della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa; soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore si debbono considerare beni comuni a tutti, quando si inseriscono nel prospetto dell’edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole [1].

 

Le fioriere prive di particolare pregio (per esempio, nel caso di comuni vasconi prefabbricati in calcestruzzo) non hanno valenza architettonica; pertanto restano di proprietà dei singoli condomini i quali solo dovranno sostenerne le spese di ristrutturazione.

 

Vendita dell’immobile in locazione: la prelazione dell’inquilino

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Quando non va pagato il canone di locazione- compensazione con spese di ristrutturazione

Nel caso di vendita di un’abitazione data in locazione, il nuovo acquirente deve rispettare il contratto di locazione e l’inquilino non ha diritto di prelazione ad acquistare l’immobile stesso.

 

Se si acquista un immobile in cui vi è già un inquilino in locazione, l’acquirente subentra nel contratto di locazione: ciò vuol dire che il nuovo proprietario è tenuto a rispettare la locazione preesistente, sin dal giorno dell’acquisto dell’immobile, ed ha gli diritti e doveri che aveva il precedente proprietario nei confronti del conduttore.

 

Il conduttore – in assenza di un diverso accordo con il titolare dell’immobile – non ha diritto di prelazione sull’acquisto della casa. In un solo caso, egli vanta la prelazione: qualora il locatore disdetti il contratto di locazione alla prima scadenza perché vuol vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione [1]. In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione.

 

Per disdettare il contratto di locazione alla prima scadenza, il locatore deve inviare all’inquilino una raccomandata a.r. sei mesi prima della scadenza medesima, senza bisogno di alcuna motivazione se non richiamando la legge che gli consente il recesso anticipato [1].

 

Frattanto, il conduttore, per non incorrere in morosità, è tenuto al versamento degli affitti al “locatore subentrato” secondo le modalità a suo tempo convenute contrattualmente con il precedente proprietario.

 

Il conduttore deve adempiere all’obbligazione al domicilio che il creditore aveva al tempo della scadenza del pagamento.

 

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